lunedì 26 aprile 2010

GIULIETTO CHIESA LANCIA L'ALTERNATIVA



Cari amici che mi leggete, desidero condividere con voi le mie riflessioni di questa fase per me post- parlamentare e per tutti noi di disastro civile, democratico, ambientale, sociale.

Mi rivolgo non a tutti, indistintamente, ma a coloro che ritengono di essere sulla mia lunghezza d’onda.



Ricevo numerose sollecitazioni ad assumere una qualche iniziativa politica pubblica. Questo “qualche” significa che si tratta di ipotesi disparate, che richiedono un esame approfondito.



Registro un considerevole aumento del numero degl'inviti a parlare, esporre le mie posizioni sui temi nazionali e internazionali, in diverse parti d’Italia. C'è una domanda spontanea, di cui comprendo le ragioni, ma alla quale, nelle attuali condizioni, non posso rispondere.



Sono ben consapevole che esiste una voragine da colmare: quella voragine di cui parlai in un lontano incontro fiorentino di due anni fa e che oggi riassumerei in due parole: voragine tra la casta politica e i cittadini. E che, nel frattempo, si è allargata e approfondita drammaticamente.



Sono altrettanto consapevole che il processo di ricostruzione di una Alternativa – prego tutti di porre attenzione a questo termine, che è per me un precisissimo punto di partenza - è lungo e tremendamente difficile. Ma soprattutto mi rendo conto della grande limitatezza delle mie risorse.



La crisi di Pandora tv dimostra che, senza una adeguata struttura organizzativa, non si può fare molto. Il lavoro volontario è indispensabile, ma richiede una disciplina ferrea, altrimenti diventa casualità e approssimazione.



Rispondo quindi a tutti voi, che mi avete seguito fin qui, ma da lontano, con una proposta semplice e chiara, che cerca di rispondere ai problemi di cui sopra.



Per fare, per avviare un progetto politico quale che sia - io lo chiamo costruzione dell'Alternativa -

ci vuole una squadra. La “mia” squadra, sempre che sia possibile costruirla, deve essere composta di volontari. Per la semplice e banale ragione che non dispongo di finanziatori, di sponsor occulti o palesi. Non ho avuto e non ho alcun finanziamento pubblico, né privato.



Diciamo che mi serve una “centuria” (uso questo termine militare cosacco senza alcuna intenzione bellica e con una certa dose di ironia), cioè un gruppo di persone disposte a lavorare per le idee che ho esposto in questi anni dalle piccole tribune da cui ho potuto parlare.



Ho bisogno di 100 persone , uomini e donne, disposte a dedicare a un progetto comune sette (7) ore la settimana. Meglio se di più, ma non di meno. Chi storcerà la bocca a questo punto può anche smettere la lettura: vuol dire che queste cose non erano indirizzate a lui o a lei. Amici come prima.



Comincio da oggi a raccogliere le adesioni. Chi si impegna deve non solo promettere, ma dare, erogare effettivamente questo tempo. Darlo sulla fiducia. Perché non sarà possibile chiarire in anticipo, prima di partire, tutti i punti, definire tutto il programma d’azione, di lavori, di metodologia, d’insieme.



Dico “sulla fiducia” perché questa lettera è rivolta a coloro che già mi conoscono, che sanno chi sono, cosa penso sulle grandi questioni. Ma non intendo mettere insieme un gruppo di “fedeli” che seguono un capo. Non è un club di fan di Giulietto Chiesa quello che ci serve (ho aperto una pagina di fan su face book ma solo come piccola verifica della quantità di persone che sanno, bene o male, che esisto, un sondaggio parziale. Qui si tratta di ben altro che di fan).



Voglio costruire un gruppo di persone che già condividono a grandi linee un progetto. Cioè intendo discutere, con chi “ci starà”, ogni passo. Ma c’è una fase iniziale in cui è indispensabile eseguire, oltre che discutere. Càeà sempre qualcuno che deve stilare l’agenda del giorno. La stilerò io. Poi, quando e se ci saremo capiti, vedremo di modificare, se è il caso.



Voglio costruire un collettivo (come si diceva un tempo) che sia composto di persone che sanno anche ascoltare e non solo parlare. So che sono poche, ma secondo la mia esperienza sono le migliori.



A questa centuria si partecipa pubblicamente. Non è un’organizzazione segreta, implica impegni pubblici. Parlo a persone che considerano la difesa della Costituzione come un compito imprescindibile.



Chi ci sta, dovrà dire età, competenze professionali luogo di residenza. Devo sapere con chi ho a che fare. Poi parlerò individualmente con ciascuno. E, come capirete, ci vorrà del tempo. Poi cominceremo una serie di incontri regionali e nazionali per avviare fasi di chiarimento collettivo e per conoscerci reciprocamente.



Occorrerà una organizzazione sul territorio. E per questa occorreranno persone in grado di asumersi responsabilità a quel livello.



Occorrerà un centro nazionale di coordinamento, che lavori sotto la mia direzione. Non potrei, da solo, tenere i contatti con l’intera centuria.



Occorrerà costruire un discorso collettivo.



Pubblico questa lettera sul mio sito www.giuliettochiesa.it, perché questa iniziativa è squisitamente personale e non coinvolgerà le mie altre attività che, da essa, resteranno autonome. Il che non significa che chi partecipa all’Alternativa non possa essere contemporaneamente impegnato in Megachip, o in Cometa, o nel Gruppo Zero, o in Pandora tv. Su questo sito, che appare ora radicalmente rinnovato per ospitare tutta la grande mole di attività che sarà necessaria, comincerò a pubblicare le lettere che arriveranno, le mie risposte e i contatti orizzontali che si realizzeranno.

Già la gestione di questo tipo di relazione richiederà l’immediata immissione di alcuni di voi nel processo organizzativo, essendo evidente che, da solo, non potrò farlo.



La definizione dei contorni di Alternativa è questione da affrontare insieme. Io qui indico le premesse, i postulati, da cui intendo partire e che sono per me dirimenti. Il resto sarà oggetto di discussione e di precisazione e, anche per questo, non posso proporlo qui nemmeno per grandi linee.



I punti fermi sono i seguenti:



1) Alternativa non è un movimento comunista e nemmeno di sinistra. Ciascuno ha la sua storia, anch’io. Nessuno è tenuto ad abiurare a nulla. Ma noi saremo aperti a tutti coloro che aderiranno ad alcuni principi elementari di partenza, ai postulati di base che sono gli stessi che misi nell’appello per Pandora tv. Poiché non vogliamo restare una setta, dobbiamo sapere che migliaia, milioni di persone non sanno nemmeno cosa sia la sinistra; non l’hanno mai incontrata, nella loro vita (e questo vale per la grandissima maggioranza dei giovani). Dobbiamo non dimenticare che il termine sinistra è screditato ogni giorno da coloro che se ne fregiano e che occhieggiano da tutti i media. Noi non siamo come loro. Noi siamo “sopra”. Ma solidarietà, giustizia sociale, sono i nostri obiettivi primari.



2) Per cambiare la società bisogna essere diversi. Una delle ragioni del crollo del vecchio PC fu l’abbandono della diversità.



3) Noi vogliamo essere militanti, Ma la non violenza è alla base della nostra azione. Per ragioni di principio (perché consideriamo nostro dovere difendere la Costituzione) e pratiche (perché predicare la violenza, per chi si pone l’obiettivo di cambiare la società, significa subirla.



4) Noi diremo la verità. Quella che conosciamo. Sappiamo che è in corso la più vasta e drammatica crisi che il genere umano abbia mai dovuto affrontare. Sappiamo che per difendere la sopravvivenza del genere umano bisognerà combattere contro chi uccide la natura. La difesa dei territori, della sfera pubblica, del Bene Comune, in ogni forma possibile, sarà la nostra stella polare. Noi siamo contro la privatizzazione del bene pubblico. Noi siamo proprietari del Bene Comune che non vogliono essere depredati. Primo bene pubblico da riconquistare: l’informazione la comunicazione.



5) Noi non saremo una setta separata, o l’ennesimo tentativo isolato di fare un partito. Tutti coloro che si battono per un mondo più giusto e umano, cioè che non sono “indifferenti” , saranno nostri alleati. Non è nei confronti di ogni forza di progresso e democratica che noi siamo “alternativa”. Anzi noi siamo “con” tutti coloro che vogliono essere “con” un progetto comune di alternativa all’attuale sistema economico e sociale. Noi sappiamo che la narrazione della società italiana (e mondiale) è nelle mani dei potenti che ci soffocano: dunque non crediamo a quella narrazione. Noi sappiamo che l’Italia è ancora viva, che milioni e milioni cercano una maniglia pulita cui aggrapparsi. Cercano una nuova rappresentanza democratica. C’è un sacco di gente che già ha costruito pezzi di un mosaico alternativo. Non li nomino, li conoscete. Sono nostri alleati, con loro lavoreremo sui luoghi di lavoro, sul territorio, nelle città, nella scuola e nelle università, sul web.



6) Noi non resteremo prigionieri della Rete e dei suoi miti. La useremo: il che è tutt’altra cosa.





Questa è la pista di lancio, appena abbozzata, ma che mi sembra chiara e sufficiente.

Accetto naturalmente suggerimenti, proposte. La discussione comincia ora tra tutti coloro che vorranno partecipare. Quando avrò raggiunto quota 100 (e tutti coloro che vorranno potranno seguire sul mio sito l'andamento della raccolta adesioni) convocherò un incontro pubblico, con voi, nel quale metteremo insieme a fuoco su quali idee comuni potremo andare avanti.



Ringrazio tutti coloro che mi hanno stimolato a questa iniziativa. Spero di poter essere utile. Sappiate che non potrò fare niente senza di voi. Ma sappiate anche che non voglio, perché non servono, piagnistei. Spesso, anche da sinistra, mi hanno affibbiato la qualifica di catastrofista. Ma io sono più ottimista di molti di questi ottimisti imbecilli e ignari. Quando si costruisce non si piange. Quando cominciai Pandora tv scrissi che eravamo in assoluta emergenza informativa e democratica. Adesso siamo già oltre il livello di guardia. Ciascuno ha un percorso da compiere. Se non si mette in moto significa che è disposto ad accettare le conseguenze.



Giulietto Chiesa

giovedì 15 aprile 2010

PER UNA NUOVA RESISTENZA



Pubblichiamo una nota di Sonia Alfano dopo le prime risposte della stampa italiana. I media ci seguono… ma che lo facciano bene!

“SINISTRA“, “Anti-Berlusconi“.
Questi i primi due attributi che i giornali hanno associato alla Manifestazione Nuova Resistenza, dopo poche ore dall’avviso dell’imminente riunione del comitato organizzatore. Devono per forza collocarci in uno dei loro schemi. Schemi che vedono sempre contrapposte due parti, schemi che dividono sempre (dividi et impera):

Sinistra VS Destra.
Centro Sinistra VS Centro Destra.
Antiberlusconiani VS Berlusconiani.
A tutti gli Italiani è chiaro che queste divisioni non esistono più, svanite lentamente nell’ultimo decennio. A tutti tranne, evidentemente, i giornalisti.
Per non andare sempre contro l’informatissima e puntuale stampa Italiana, però, mettiamoci nei panni di chi ha interpretato i primi comunicati ed i primi articoli comparsi in rete:

“NOI che siamo la parte migliore della nostra società andiamo a riprenderci l’onore ed il rispetto per la Costituzione e per il nostro Paese. Dimostriamo a chi infanga la Costituzione quanti siamo, pretendiamo quel rispetto per le leggi che cercano di ridicolizzare.”

Il primo giornalista interpreta:
“Questi propongono di rispettare la Costituzione, allora devono essere Antiberlusconiani“.

Il secondo giornalista, un po meno attento all’evolversi della politica italiana, evidenzia la cosa:
“Ah, sono antiberlusconiani… quindi di sinistra!”

Ora aspettiamo il passaggio successivo:
“COMUNISTI!” (magari asciugandosi le lacrime con un fazzoletto, come un famoso comico).

Capiamo benissimo che per voi è necessario classificare le persone, i gruppi, i movimenti. Perché dargli una posizione specifica equivale ad un “controllo della situazione”, della serie: OK, loro sono schierati così.

Niente partiti, di nessun tipo, niente collocazioni politiche, non questa volta. Andiamo in piazza, tutti, come italiani.
Volete per forza classificare gli Italiani?
Vi propongo questo nuovo schema allora:

Onesti VS Disonesti.
Pro-Costituzione VS Anti-Costituzione
Adesso si che siamo rappresentati: noi siamo ONESTI e chiediamo IL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE.

Sonia Alfano

martedì 13 aprile 2010

SONIA ALFANO AL PARLAMENTO EUROPEO


A otto mesi dal mio insediamento al Parlamento europeo, nonostante abbia condiviso in rete tutte le mie iniziative, ho pensato di fare un report dell'attività parlamentare per tirare un po' le somme di quanto proposto e realizzato. Sono state tantissime le segnalazioni e le istanze ricevute dai cittadini, via mail e agli incontri pubblici cui continuo a partecipare con grande passione, e sto cercando di impegnarmi per affrontarle e occuparmene, senza tralasciarne neanche una.
Mi sono occupata di giustizia, sicurezza, immigrazione e affari interni, come previsto dalla Commissione della quale sono membro: LIBE; ma mi sono occupata anche di ambiente e mafia, com'era prevedibile, poichè sono due temi ai quali sono molto legata.

Già il giorno dopo l'insediamento al Parlamento, il 16 luglio 2009, prima che le attività cominciassero, avevo pronta un'interrogazione e l'ho presentata alla Commissione ed al Consglio: quella contro il Lodo Alfano! Subito dopo mi sono occupata di immigrazione, presentando un'interrogazione sull'ecatombe di migranti nel Mediterraneo, sottolineando le responsabilità dei governi italiano e maltese e chiedendo come intendesse intervenire l'Ue, a tutela del rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti umani. La Commissione sta negoziando con la Libia per conto dell'Unione europea un accordo quadro finalizzato, fra l'altro, a promuovere il rispetto di norme internazionali in materia di asilo e del principio di non respingimento. Io spero che l'Ue eserciti le proprie funzioni facendo pressione alla Libia (Stato dittatoriale) affinchè ratifichi, finalmente, la Convenzione di Ginevra. Sono poi intervenuta in aula a questo proposito il 15 Settembre.
A proposito di immigrazione, vorrei che leggeste la risoluzione dal titolo "Risoluzione comune del Parlamento europeo sulla necessità di migliorare il quadro giuridico relativo all'accesso ai documenti a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, regolamento 1049-2001" scaricabile QUI.
Durante la riunione della Commissione LIBE del 2 Settembre, all'indomani dell'aggressione di Silvio Berlusconi alle istituzioni europee, ho dovuto, malgrado l'imbarazzo, esporre i miei punti di vista su:
1. Lodo Alfano: dal momento che a luglio ho presentato un'interrogazione destinata alla Commissione Europea e al Consiglio riguardo il Lodo Alfano.
2. Immigrazione e Diritto d'Asilo: dal momento che ho presentato la mia seconda interrogazione proprio su questo argomento (con la collaborazione dell'UNHCR) e sulle responsabilità dei governi italiano e maltese riguardo gli ultimi respingimenti.
Infine il mio terzo intervento e' stato fatto durante la discussione sulla bozza del bilancio della commissione LIBE del 2010. In fase di lettura degli emendemanti, ho voluto dare il mio totale sostegno agli emendamenti Crocetta riguardo la possibilità da parte della Commissione di prendere in considerazione lo sviluppo di progetti ed iniziative che si occupano di lotta alla mafia, beni confiscati, antiracket e legalità.
L'iter per l'approvazione di questi emendamenti e' molto travagliato e sarà difficile raggiungere l'obbiettivo. E' però un ottimo risultato che la parola "mafia" circoli nelle aule e nei lavori dell'Unione Europea. Il 30 Settembre, in riunione di Commissione, parlando di prevenzione del crimine, ho cominciato, appunto, ad introdurre un tema che ancora in Europa non è riuscito ad emergere come dovrebbe: le mafie.

L'8 di Ottobre, subito dopo l'interessante dibattito pubblico sulla libertà d'informazione dal titolo "Senza parole? Quali spazi di informazione per le opposizioni in Italia" (qui il post), sono intervenuta in aula, con parole abbastanza eloquenti, per spiegare all'Europa quali sono i limiti posti alla stampa dal Governo italiano, e alcune "soldatine" del Pdl hanno detto a me, che difendevo l'Italia dal piano autoritario, che sono anti-italiana e devo vergognarmi. Io non sono anti-italiana, io sono anti-mafiosa!

Risoluzione sulla libertà di stampa in Italia

A fine Ottobre, poi, ho presentato insieme ad alcuni colleghi dell'Alde, un'interrogazione sulla costante inazione delle autorità italiane contro l'aumento degli attacchi omofobici, anche a seguito della bocciatura, da parte della Camera dei deputati, di una legge sull'introduzione di una circostanza aggravante per atti omofobici, che aveva lo scopo di allineare le pene per il reato di omofobia a quelle previste per gli atti di razzismo e xenofobia. Nella risposta del Consiglio si legge testualmente "Il Consiglio desidera inoltre rammentare agli onorevoli parlamentari che la direttiva 2000/78/CE(2) vieta la discriminazione sul lavoro fondata sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età e l'orientamento sessuale. Nel 2008 la Commissione ha presentato una proposta per estendere tale protezione ad altri settori(3), vale a dire la protezione sociale, le prestazioni sociali, l'istruzione e l'accesso a beni e servizi, che è attualmente in discussione al Parlamento e al Consiglio".

A Novembre ho chiesto, attraverso un'interrogazione alla Commissione, informazioni ed intervento diretto o indiretto in merito all'affondamento della nave dei veleni. Sempre nello stesso mese, mi sono occupata di una vicenda abbastanza incresciosa: tre cittadini afghani richiedenti asilo sono stati rimpatriati dalla Francia e altri ventiquattro dal Regno Unito a bordo di un aereo noleggiato congiuntamente dalla Francia e dal Regno Unito per trasferirli a Kabul. Così ho presentato un'interrogazione alla Commissione chiedendo se si ritiene l'Afghanistan un Paese sicuro e se per caso il provvedimento dei governi francese e britannico non violi il principio di non respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra (che pure l'Italia viola, in base all'accordo con la Libia).
Il 24 Novembre, durante la plenaria di Strasburgo, ho preso la parola per portare a conoscenza dell'Europa il caso Eutelia-Agile e in qualità di relatrice unica per la REPC (qui un mio articolo sulla riunione della Commissione LIBE sull'argomento). Potrete anche leggere la relazione: QUI.

09/12/2010: Risoluzione del Parlamento europeo sulla necessità di migliorare il quadro giuridico relativo all'accesso ai documenti a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, regolamento 1049-2001

A Gennaio, insieme ad alcuni colleghi dell'ALDE, ho depositato un'interrogazione sul fallimento del test di sicurezza dell'aviazione civile slovacca e compatibilità con il diritto comunitario; ho inoltre insistito sul tema del principio di parità e del mancato riconoscimento delle relazioni omosessuali in alcuni Stati membri presentando un'interrogazione sia al Consiglio che alla Commissione.
Ho inoltre chiesto alla Commissione di attuare la promozione dei meccanismi di denuncia delle irregolarità nell'Unione europea, mettendola a conoscenza del fatto che recenti sondaggi dimostrano che circa un quarto dei casi di frode sono venuti alla luce grazie alle segnalazioni degli informatori piuttosto che, per esempio, alle autorità di regolamentazione, ai revisori contabili o ai mezzi di comunicazione. La denuncia delle irregolarità è quindi un efficace meccanismo di allarme rapido per gli enti pubblici e privati; tuttavia, in genere, gli informatori non sono sufficientemente protetti dalle ritorsioni e/o non sono sicuri che la loro segnalazione avrà un seguito.
Il 19 Gennaio si è tenuta a Strasburgo l'audizione del Commissario designato per gli Affari Interni, la svedese Cecilia Malmström, e io ho posto delle domande su come intende lavorare l'Ue sul tema delle mafie in Europa.

Nel mese di Febbraio ho presentato un'interrogazione orale alla Commissione, a nome del gruppo ALDE, il cui oggetto è la conformità dello schema di decreto italiano di attuazione della direttiva 2007/65/CE (direttiva servizi media audiovisivi) con la direttiva e con i diritti fondamentali. Per intenderci, sto parlando del decreto Romani, che, se approvato, imporrebbe ai siti web come Google o i blog che contengono file audiovisivi l'obbligo di ottenere un'autorizzazione governativa per la trasmissione di contenuti multimediali (come ad esempio il live streaming e il web casting, come previsto dall'articolo 17, lettera cc del decreto che modifica l'articolo 21 del Testo Unico sui mezzi di comunicazione).
Nello stesso mese ho presentato un'interrogazione scritta alla Commissione per la sicurezza sul lavoro e il nuovo D.Lgs 106/09 modificativo del D.Lgs 81/08, che ha introdotto modifiche, a mio parere, peggiorative e devastanti per la sicurezza, la salute e la dignità dei lavoratori, puntando tutto sull'alleggerimento delle responsabilità del datore di lavoro e quindi degli imprenditori (beh, del resto il nostro Premier che mestiere fa?). Come dicevo, mi sono occupata anche di mafia e ambiente, ho presentato infatti un'interrogazione scritta alla Commissione sullo smaltimento dei rifiuti sottolineando la situazione assurda del siracusano, soprattutto nella zona di Augusta, Priolo e Melilli, dove il tasso di mortalità per cancro è pari al 30% dei decessi totali, e l'esposizione della popolazione della zona al cancro arriva al 60%, laddove la media italiana è del 25%.

Ho cercato di trattare in Europa tutti i temi che stanno rendendo l'Italia un Paese "illegale" e affatto sicuro, in sostanza ho urlato all'Europa di guardare bene, con la lente d'ingrandimento, e valutare se tutto quanto attuato dal Governo è conforme alle norme nazionali ed internazionali, e rispetta il senso del vivere comune e dei diritti umani.

Ho presentato un'interrogazione anche sulla prevenzione del crimine in strada nelle aree urbane, specificando che in Italia c'è necessità di agenti qualificati, e non di semplici volontari. Proprio quando alle polizie locali e al loro coordinamento è dato un ruolo sempre più centrale e la formazione e la professionalizzazione del personale di polizia diventa una priorità, in Italia si affermano le "ronde".

Dopo essere intervenuta in aula, il 24 Novembre, in merito alle Norme sui trasferimenti aziendali contenute nella direttiva 2001/23/CE, con riferimento specifico ad Eutelia Spa, ho ritenuto di presentare alla Commissione anche interrogazione scritta. Ho chiesto alla Commissione di provvedere all'adozione di norme per prevenire violazioni di legge che, come nel caso Eutelia, possano configurarsi come dei reati di truffe economiche a danno dei lavoratori. E, a proposito di lavoro, mi sono occupata anche di "morti bianche", con interrogazione scritta alla Commissione, sottolineando come negli ultimi cinque anni in Italia ben settemila lavoratori hanno perso la vita sul posto di lavoro e, conseguentemente, settemila famiglie italiane sono state toccate dalla perdita di un congiunto, spesso unica risorsa economica per il nucleo familiare.
Il lavoro, nero. Le morti, bianche. Che Paese disgraziato è l'Italia.

Il 25 Febbraio avrei dovuto intervenire in aula per parlare dell'iniziativa Parlamento europeo pulito, ma l'intervento è saltato a causa del poco tempo a disposizione, e ho dovuto rimandare il tutto, non prima di aver protestato per il trattamento riservato.

Nel mese di Marzo mi sono occupata, insieme ai colleghi del gruppo ALDE, dell'incriminazione di Google in Italia, e di tantissime altre cose.
Ho presentato un'interrogazioni sul presunto mancato rispetto della legislazione dell'Unione europea nella costruzione dell'inceneritore in località Cà del Bue, e poi mi sono occupata della violenza sulle donne, del processo breve, del rigassificatore di Triste, degli Ogm, dei Cie, di Alitalia e del nucleare. Sul rigassificatore di Trieste ero anche intervenuta in aula, il 9 febbraio.

Il 9 Marzo sono intervenuta in aula per protestare contro il decreto salva-liste ad opera di Berlusconi e sodali con l'ambigua (ma ormai non troppo) compiacenza del Presidente della Repubblica!

Il 24 Marzo sono intervenuta in aula "armata" di maglia con slogan "No Mafia", per presentare l'iniziativa Parlamento europeo pulito (in corso), sottoposta a tutti i deputati dai cittadini italiani e affrontata soltanto da me, che notoriamente ho un'avversione per i pregiudicati e delinquenti.

domenica 11 aprile 2010

REFERENDUM CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA





La raccolta delle firme sarà un grande momento di azione politica collettiva
Depositati in Cassazione i quesiti referendari per l’acqua pubblica

Sono stati depositati stamattina presso la Corte di Cassazione di Roma i quesiti per i tre referendum che chiedono l’abrogazione di tutte le norme che hanno aperto le porte della gestione dell’acqua ai privati e fatto della risorsa bene comune per eccellenza una merce.

La raccolta delle 500 mila firme necessarie per l’ammissione dei referendum inizierà nel fine settimana del 24-25 aprile, una data simbolo per quella che il Forum dei Movimenti per l’Acqua intende come la Liberazione dell’acqua dalle logiche di profitto.

“Se il governo crede di aver chiuso la partita dovrà ricredersi, – ha detto Marco Bersani dei Forum Movimenti per l’Acqua durante l’affollata conferenza stampa – la coalizione che appoggia i referendum è la più ampia aggregazione formale di movimenti, associazioni laiche e cattoliche, forze politiche e sindacali che si sia mai riunita intorno a un tema simile. Queste forze ci porteranno a raccogliere le firme, approvare i referendum e votare tre sì per l’acqua pubblica”.

Presenti alla conferenza stampa anche Padre Alex Zanotelli e tre dei costituzionalisti che hanno redatto i quesiti referendari : Stefano Rodotà, Gianni Ferrara e Alberto Lucarelli.

“Il mezzo referendario – ha sottolineato Rodotà – è lo strumento per rimettere in moto la politica in questo periodo di grande disaffezione, la raccolta delle firme sarà un grande momento di azione politica collettiva”.

Secondo Alex Zanotelli chi pagherebbe di più dalla privatizzazione dell’acqua sarebbero i poveri, “la nostra vittoria servirà non solo nel panorama italiano ma darà anche una scossa all’Unione Europea. Se Parigi ha ripubblicizzato l’acqua, se nelle Costituzioni di Bolivia e Uruguay l’acqua è definito bene comune non mercificabile, possiamo farcela anche noi”.

A chi chiedeva una risposta al Ministro Ronchi che più volte, anche in questi giorni, ha screditato i promotori dei referendum accusandoli di veicolare messaggi menzogneri sulla sua legge, Marco Bersani ha risposto con una sfida al Ministro : “Scelga lui il luogo e l’ora, noi siamo disponibili ad un confronto, dati alla mano, sugli effetti della suo decreto e dell’apertura ai privati della gestione dell’acqua nel nostro paese”.

venerdì 9 aprile 2010

MAFIA E POLITICA


Nel 1991 la mafia è pronta a uccidere su indicazione di Riina. Ma qualcuno le fa cambiare strategia

Questa è una storia inconfessabile. Fatta di sangue, polvere da sparo e paura. Non prendetela per la verità. Perché per ora è solo una verità possibile. Una ricostruzione verosimile che si è affacciata nelle menti degli investigatori dopo la deposizione dell’ex Guardasigilli, Claudio Martelli, davanti ai giudici che stanno processando per favoreggiamento aggravato l’ex comandante del Ros, generale Mario Mori. Ridotta a una frase – ma come si sa, quando si parla di mafia le cose sono molto più complicate – suona più o meno così. Nel 1992 lo Stato trattò con Cosa Nostra per salvare la vita a un lungo elenco di politici: i ministri o ex ministri Calogero Mannino, Salvo Andò, Martelli, Giulio Andreotti e Carlo Vizzini, il deputato regionale Sebastiano Purpura e il presidente della regione Rino Nicolosi. Sette nomi eccellenti, considerati a torto o ragione dai clan dei traditori, ai quali si deve aggiungere la lista, compilata come la prima in più fasi, dei nemici a tutto tondo: i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Piero Grasso e i poliziotti Arnaldo La Barbera, Gianni De Gennaro e Rino Germanà. Per capire come si giunge a questa ipotesi, bisogna però cominciare dai fatti certi.

Vediamoli. A partire dal febbraio del 1991, mese in cui Falcone, osteggiato dai colleghi, lascia Palermo per diventare di fatto il braccio destro di Martelli, la situazione per Cosa Nostra precipita. Da una parte arriva nelle mani dei magistrati (ma subito dopo degli uomini d’onore e dei politici) un rapporto, redatto proprio dai carabinieri di Mori, su mafia e appalti in Sicilia che rischia di far saltare affari per mille miliardi di lire. Dall’altra, con Falcone al ministero, le cosche capiscono che la musica è cambiata. Subito il governo (presidente del Consiglio Andreotti) vara un decreto per rimettere in prigione 16 importanti boss scarcerati per decorrenza termini. Poi Martelli si muove per evitare che in Cassazione i processi per mafia finiscano sempre alla prima sezione presieduta da Corrado Carnevale, il giudice allora soprannominato ammazzasentenze.

Totò Riina, all’epoca capo incontrastato di Cosa Nostra, diventa una belva. All’improvviso capisce che le garanzie ricevute sul buon esisto del maxi-processo, istruito negli anni ‘80 da Falcone e Paolo Borsellino, in cui lui stesso è stato condannato all’ergastolo non valgono niente. Anche in terzo grado il verdetto sarà sfavorevole. Nella seconda parte dell’anno, raccontano le sentenze, si svolgono così una serie di vertici tra capi-mafia in cui Riina annuncia la decisione di "pulirsi i piedi". Cioè di ammazzare, non solo i nemici, ma anche chi nei partiti aveva fatto promesse e non le manteneva. Si discute dei nomi dei personaggi da eliminare e intanto parla di fare guerra allo Stato con attentati a poste, questure, tralicci dell’Enel, caserme dei carabinieri e alle sedi della Democrazia cristiana (quattro verranno colpite in Sicilia).

"Si fa la guerra per fare la pace", spiega a tutti il boss corleonese, in quel momento già alla ricerca di una nuova sponda politica con cui stringere un nuovo accordo. Poi, il 31 gennaio del ‘92, come pronosticato, la Cassazione priva di Carnevale, conferma le condanne del maxi. E così il 12 marzo, a campagna elettorale appena iniziata, l’eurodeputato Salvo Lima, da anni proconsole di Andreotti, in Sicilia muore sotto i colpi dei killer. E’ un messaggio diretto al divo Giulio che sarebbe dovuto giungere nell’isola l’indomani. Falcone intuisce quanto sta accadendo. E, come scriverà La Stampa, commenta: "Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola".

I politici siciliani cominciano davvero a tremare. Il 20 febbraio, ma questo lo si scoprirà solo molti anni dopo, in casa di Girolamo Guddo (un amico dell’ex fattore di Arcore, Vittorio Mangano) si è tenuta un riunione operativa in previsione della “pulizia dei piedi”: si è parlato della morte di Lima, di quella di Ignazio Salvo (18 settembre ‘92), dell’attentato a Falcone e di molte delle altre persone da eliminare. Il programma prevede che a essere colpito, dopo Falcone, sia l’ex ministro dell’Agricoltura e leader siciliano della sinistra Dc, Mannino. Quale sia la forza della mafia gli italiani se ne rendono conto il 23 maggio osservando le centinaia di metri asfalto divelti dal tritolo a Capaci.

Morto Falcone, tutto sembra perduto. Mentre nel nord infuria Tangentopoli, gli apparati investigativi antimafia appaiono in ginocchio. È a quel punto che, secondo l’accusa, Mori e il suo braccio destro, Giuseppe De Donno, decidono di battere la strada che porta a don Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, legato a doppio filo all’alter ego (apparente) di Riina: Bernardo Provenzano. A giugno, ha sostenuto due giorni fa Martelli, De Donno contatta un’importante funzionaria del ministero, Liliana Ferraro. L’ufficiale le spiega di essere in procinto di vedere don Vito "per fermare le stragi". E, secondo l’ex ministro, chiede una sorta di "supporto politico". Ferraro avverte di quanto sta accadendo Borsellino, amico fraterno di Falcone e favorito nella corsa alla poltrona di procuratore nazionale antimafia. Intanto Giovanni Brusca, il boss oggi pentito che ha azionato il telecomando di Capaci, si sta già muovendo con pedinamenti e sopralluoghi per far fuori Mannino. Ai primi di giugno il ministro Dc viene però avvertito da un colonnello dell’Arma (chi?) dei rischi che sta correndo. Visibilmente teso lo racconterà lui stesso in un colloquio dell’8 luglio con Antonio Padellaro, allora vicedirettore de L’Espresso (il settimanale lo pubblicherà in parte a fine luglio e integralmente nel 1995). Mannino dice: "Secondo i carabinieri c’è un commando pronto ad ammazzarmi". L’ufficiale gli ha consegnato un rapporto di sette pagine con sopra stampigliata la parola "segreto" in cui è riassunta tutta la strategia di morte di Cosa Nostra. Mannino - che oltretutto annovera nella sua corrente molti esponenti legati ai clan - sa dunque perfettamente cosa sta accadendo. E nella conversazione spiega pure che Lima è stato ucciso per non aver potuto rispettare i patti sul maxi-processo.

Le paure di Mannino sono però destinate a rientrare. Salvatore Biondino, un colonnello di Riina, sempre a giugno comunica a Brusca che il progetto di omicidio è sfumato. La mafia ha cambiato strategia. Nel mirino all’ultimo momento è stato messo Borsellino che morirà il 19 luglio in via D’Amelio. Perché? Oggi gli investigatori riflettono su due episodi. I presunti incontri precedenti alla bomba di via D’Amelio tra Mori e don Vito Ciancimino in cui vennero avanzate le prime richieste allo Stato. E la nascita del governo Amato del 28 giugno. A sorpresa il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti (durissimo con Cosa Nostra), viene sostituito da Nicola Mancino (sinistra Dc come Mannino). Mentre pure Martelli (contrario a ogni ipotesi di trattativa) per qualche giorno, su proposta di Bettino Craxi, rischia di perdere la poltrona di guardasigilli. "Ero preoccupato", ha spiegato l’ex ministro, "era come si fosse esagerato con la lotta alla mafia...Il messaggio pareva essere: ‘Troviamo una forma più blanda di contrasto, ci abbiamo vissuto per 50 anni’". Il risultato è comunque che Cosa Nostra lascia perdere i politici (tranne Martelli, intorno alla cui casa ancora il 4 dicembre si aggirano boss impegnati in sopralluoghi) e si dedica invece a Borsellino, notoriamente contrario ad ogni ipotesi di patto. La trattativa aveva dunque come obiettivo la loro sopravvivenza? O semplicemente i politici si sono salvati in conseguenza della trattativa? Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, lo scorso dicembre, sembrava propendere per la seconda ipotesi: "Probabilmente", diceva, "i mafiosi cambiarono obiettivo perché capirono che non potevano colpire chi avrebbe dovuto esaudire le loro richieste". Oggi però sappiamo che quell’elenco di politici da ammazzare, già a giugno, era in gran parte noto. E la storia potrebbe cambiare. Di molto.


Peter Gomez (il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2010)

mercoledì 7 aprile 2010

MILANO ORDINA: UCCIDETE BORSELLINO


Il gemellaggio Milano-Palermo
Mi chiamo Alfio Caruso e ho scritto un libro che si intitola: “Milano ordina uccidete Borsellino” in cui si racconta come la strage di Via d’Amelio nella quale morirono il Procuratore aggiunto di Palermo e 5 poliziotti di scorta sia strettamente collegata alla strage di Capaci in cui furono sterminati Giovanni Falcone, la moglie e 3 agenti di scorta e tutte e due queste mattanze vennero preordinate e compiute per impedire a Falcone e a Borsellino di puntare a Milano perché Falcone aveva capito e aveva quindi trasmesso a Borsellino questa sua idea, che la grande mafia siciliana faceva sì gli affari e i soldi in Sicilia e nel resto del mondo, ma poi investiva i propri capitali e li moltiplicava grazie a una rete di insospettabili soci e alleati che aveva a Milano.
Falcone viene ucciso poche settimane dopo aver pronunciato una frase fatidica: “la mafia è entrata in Borsa” e non era la prima volta che Falcone lo affermava, l’aveva già detto nel 1984 quando si era accorto che uno dei principali boss mafiosi rinviati a giudizio nel maxiprocesso, Salvatore Buscemi, il capo mandamento di Passo di Rigano e dell’Uditore, per evitare che la propria società di calcestruzzi, che si chiamava Anonima Calcestruzzi Palermo fosse confiscata, aveva creato una vendita fittizia alla Ferruzzi Holding e quindi da quel momento incomincia una ragnatela di intensi rapporti tra il Buscemi e la Ferruzzi Holding che fa sì che da un lato la Ferruzzi abbia il monopolio del calcestruzzo in Sicilia, e dall’altro lato sia i Buscemi sia altre famiglie mafiose riescono a riciclare con le banche e le finanziarie nei paradisi fiscali miliardi su miliardi.
Ma Falcone aveva anche ripetuto paradossalmente la frase: “la mafia è entrata in Borsa” in un convegno del 1991 a Castel Utveggio, di cui avrete sentito parlare e che forse oltre a ospitare una base clandestina del SISDE (Servizio segreto civile), forse è stato il luogo da cui hanno azionato il telecomando per far esplodere il tritolo in Via d’Amelio.
Falcone aveva deciso di puntare su Milano e di su tutte le connessioni che ormai lui conosceva e ovviamente è lecito pensare che avesse messo a parte di questo progetto l’amico del cuore, il fratello di tutte le sue battaglie, che era Paolo Borsellino, conseguentemente un minuto dopo la strage di Capaci l’altro obiettivo da colpire è Paolo Borsellino.



Paolo Borsellino e i legami tra imprese del Nord e la mafia
Borsellino in quei 53 giorni che lo separano dalla sua sorte, si era dato molto da fare, aveva compiuto dei passi che avevano inquietato i suoi carnefici, perché Borsellino il 25 giugno incontra segretamente il colonnello dei Carabinieri Mori e il capitano De Donno, in una caserma a Palermo e chiede a loro notizie particolareggiate sul dossier che avevano da poco consegnato alla Procura di Palermo che si chiamava: “Mafia e appalti” e in questo dossier figuravano i rapporti che erano stati ricostruiti, ma chiede anche conto di un’altra inchiesta condotta dal Ros dei Carabinieri a Milano, quella che va sotto il nome di: “Duomo connection” e che aveva visto l’esordio, se vogliamo, sulle scene nel mitico Capitano Ultimo, l’allora Capitano De Sapio (De Caprio, ndr) e era stata un’inchiesta condotta da Ilda Boccassini. Quest’ultima aveva anche parlato a Falcone perché tra i due c’era un grande rapporto professionale di stima e di affetto.
Quindi Borsellino chiede ai Ros di entrare a conoscenza di ogni dettaglio, ma Borsellino aveva capito che la regia unica degli appalti italiani era Palermo e ce lo racconta Di Pietro, perché Borsellino, rivela a Di Pietro che è vero che Milano è tangentopoli, la città delle tangenti, ma gli dice anche che esiste una cabina unica di regia per tutti gli appalti in Italia e questa cabina unica di regia è in Sicilia.
Il 29 giugno del 1992, il giorno di San Pietro e San Paolo, il giorno in cui Borsellino festeggiava l’onomastico, riceve a casa sua Fabio Salomone che è un giovane sostituto procuratore di Agrigento che ha molto collaborato sia con lui, sia con Falcone in parecchie indagini, si chiudono nello studio, addirittura Borsellino fa uscire il giovane Ingroia che era il suo pupillo, il suo allievo prediletto, con Ingroia era stato già a Marsala dove Borsellino aveva svolto le funzioni di Procuratore Capo. Si chiude nello studio con Salomone e parlano di tante cose, noi abbiamo soltanto ovviamente la versione di Salomone, crediamo a lui che dice che avevano parlato delle inchieste in corso, però Salomone è anche il fratello di Filippo Salomone che scopriremo essere il re degli appalti in Sicilia e grande amico di Pacini Battaglia, il re degli appalti in tutta Italia e uno dei grandi imputati di tangentopoli.
Quindi Borsellino cominciava a diventare una presenza sempre più inquietante, per coloro che avevano impedito a Falcone di arrivare a Milano e adesso dovevano impedirlo a Borsellino. Quel giorno Borsellino dà anche un’intervista a Gianluca Di Feo, inviato de Il Corriere della Sera e spiega a Di Feo l’importanza di un arresto compiuto poche settimane prima a Milano, quello di Pino Lottusi, titolare di una finanziaria, che per 10 anni aveva riciclato il danaro sporco di tutte le congreghe malavitose del pianeta.
Borsellino dice a Di Feo: Lottusi ha gestito il principale business interplanetario degli anni 80, facile immaginare quale possa essere stata la reazione di quanti, il 30 giugno, leggendo quell’intervista a Milano, avevano avuto un’ulteriore conferma sulla intelligenza da parte di Borsellino di quanto era in atto e di quanto era soprattutto avvenuto, perché poi scopriremo che le società di Lottusi erano molto collegate e in affari con una multinazionale, con una grande casa farmaceutica, con un famosissimo finanziere e anche con alcuni uomini politici.



Milano ordina: "Uccidete Borsellino"
Borsellino è pronto per portare a compimento l’opera di Falcone, però Borsellino sa, come racconta lui stesso alla moglie e a un amico fidato in quei giorni, che è arrivato il tritolo per lui. Sa che la sua è una corsa contro la morte, spera soltanto di poter fare in fretta, ma non gli lasceranno questo tempo. Quello che oggi sappiamo stava già scritto da anni in anni in inchieste, in atti di tribunali, in sentenze di rinvio a giudizio, in testimonianze rese in Tribunale, mancavano soltanto dei tasselli utili per completare questo mosaico e questi tasselli sono stati forniti dalle dichiarazioni di Spatuzza, quest’ultimo cosa si racconta? Ci racconta che lui ha rubato la 126 che poi fu imbottita di tritolo e l’ha consegnata al capo del suo mandamento che si chiamava Mangano, un omonimo di Vittorio Mangano, questo si chiama Nino Mangano e c’era con Mangano un estraneo e per di più poi Spatuzza ci dice che in 18 anni nessuno ha mai saputo dentro Cosa Nostra, chi azionò il telecomando della strage in Via d’Amelio e dove era situato l’uomo con il telecomando in mano.
Spatuzza ci ha anche raccontato che era tutto pronto per uccidere Falcone a Roma, che lui aveva portato le armi, che la mafia, facendo la posta a Falcone, era andata a Roma, lo squadrone dei killer con Messina Denaro, Grigoli, lo stesso Spatuzza, avevano scoperto che Falcone andava da solo, disarmato ogni sera a cena in un ristorante di Campo dei Fiori, La Carbonaia, e quindi sarebbe stato facilissimo coglierlo alla sprovvista, ma poi Riina aveva stabilito che bisognasse uccidere Falcone, come dice Provenzano, bisognava montare quel popò di spettacolino a Capaci. Riina sapeva benissimo che la mafia avrebbe avuto un contraccolpo micidiale dopo un attentato eversivo come quello di Capaci, però evidentemente (era, ndr) convinto di poter riscuotere un incasso superiore ai guasti che ne sarebbero derivati.
Lo stesso avviene per D’Amelio, è un’altra strage dal chiaro sapore eversivo, ma evidentemente viene compiuta perché i guadagni saranno superiori. Riina con la strage di via D’Amelio ha, come ha detto suo cognato Bagarella, lo stesso ruolo che ebbe Ponzio Pilato nella crocifissione del Cristo, non disse né sì né no, se ne lavò le mani, ha raccontato. Da quello che ci racconta Spatuzza possiamo immaginare che siano stati i Graviano a chiedere a Riina il permesso di compiere questa strage e i Graviano erano gli uomini legati a Milano, gli uomini della mafia che più avevano contatti e rapporti a Milano. Borsellino quindi non viene ucciso, come peraltro scrive benissimo la sentenza d’appello del Borsellino bis già nel 2002, perché salta la trattativa tra Vito Ciancimino e il Colonnello Mori perché i Carabinieri respingono inizialmente il papello proposto da Riina, quello è un falso obiettivo. Borsellino viene ucciso per impedirgli di arrivare a Milano e era lo stesso motivo per cui è stato ucciso Falcone e mi sembra che continuare a parlare del fallimento della trattativa sia soltanto l’ennesimo tentativo di nascondere i veri motivi delle due terrificanti stragi del 1992.

Alfio Caruso (Fonte: www.beppegrillo.it, 31 marzo 2010)







Commento
a cura di Marco Bertelli


Vorrei aggiungere un breve commento all'intervista rilasciata da Alfio Caruso al BLOG di Beppe Grillo, intervista che rimanda al libro recentemente scritto dallo stesso Caruso "Milano ordina: uccidete Borsellino", un testo ricco di informazioni e spunti di approfondimento.

Tanto nell'intervista quanto nel libro Alfio Caruso mette al primo posto fra i moventi della strage di Via D'Amelio la preoccupazione dei colletti bianchi alleati di Cosa Nostra per l'attenzione investigativa che Paolo Borsellino stava concentrando sull'asse Milano-Palermo, interesse testimoniato da un'intervista rilasciata dal Magistrato il 29 giugno 1992 al giornalista Gianluca Di Feo, dai colloqui che Borsellino ebbe con Antonio Di Pietro, dalle conclusioni della sentenza BORSELLINO BIS e da numerosi altri elementi presentati nel libro. "Dopo quasi vent'anni il movente dell'uccisione di Borsellino - scrive Caruso - è uscito dalle nebbie nelle quali l'avevano avvolto. Più dell'ipotetica opposizione alla trattativa fra i carabinieri e Ciancimino, più del desiderio dell'ala stragista di reagire all'iniziale respingimento del papello, più della volontà di liberarsi di un pericoloso nemico, più della garanzia che l'ampliamento della campagna di morte avrebbe indotto le istituzioni ad abbassare la testa, più insomma del voler fare la guerra per fare poi la pace, sulla sorte di Borsellino ha inciso la condanna capitale emessa da Milano. Gl'intoccabili che avevano gioito per Capaci hanno percepito che Paolo si era posto sulle loro tracce. Per salvaguardare il fruttuoso e consolidato solidazio con Cosa Nostra hanno ritenuto indispensabile liberarsi del gentiluomo dal sorriso dolce. Significa che Milano ordina, Palermo esegue" (Milano ordina: uccidete Borsellino, Alfio Caruso, Longanesi, 2010, pag. 166). Nell'intervista al BLOG di Beppe Grillo Caruso aggiunge che gli "sembra che continuare a parlare del fallimento della trattativa sia soltanto l’ennesimo tentativo di nascondere i veri motivi delle due terrificanti stragi del 1992".

Ritengo che il libro di Alfio Caruso sia davvero ben documentato. Sono pertanto convinto che questa nuova pubblicazione possa dare un contributo importante ad approfondire il contesto nel quale maturarono le stragi di Capaci e via D'Amelio nel 1992 e a tener viva l'attenzione sulle inchieste in corso per individuare eventuali responsabilità esterne all'organizzazione criminale Cosa Nostra nella pianificazione ed esecuzione di questi eccidi.
Tuttavia non condivido del tutto la conclusione dell'autore in merito ai moventi della strage di via D'Amelio. Credo infatti che sia davvero difficile individuare un movente predominante rispetto agli altri e cercherò di spiegare le ragioni alla base di questa valutazione personale.

Nonostante il contesto delle responsabilità in cui maturò l'accelerazione della fase esecutiva della strage sia davvero complesso ed in parte ancora sconosciuto, alcuni punti di riferimento sono stati fissati in via definitiva. E' sempre necessario tener presente la distinzione tra i moventi che spinsero i vertici di Cosa Nostra a deliberare l'eliminazione di Paolo Borsellino ed i fattori esterni all'organizzazione criminale che determinarono l'accelerazione della fase esecutiva del delitto.
Il nome di Paolo Borsellino era già stato inserito tra la fine del 1991 ed i primi mesi del 1992 in una lista di obiettivi che i vertici di Cosa Nostra scelsero di colpire perchè ritenuti nemici irriducibili dell'organizzazione. Nello stesso elenco comparivano i nomi di alcuni esponenti politici che i capi di Cosa Nostra avevano deciso di eliminare perchè ritenuti non più in grado di mantenere le promesse fatte all'associazione criminale (vedi anche l'intervista di Maurizio Torrealta a Luca Tescaroli del 20 febbraio 2010). L'anomalia o patologia della strage di via D'Amelio consiste nell'improvvisa accelerazione con la quale si giunse alla fase esecutiva dell'eccidio. La sentenza d'appello BORSELLINO BIS ha individuato tre fattori esterni a Cosa Nostra che causarono tale accelerazione interferendo con i meccanismi decisionali della strage.



Il primo fattore è costituito dalla possibilità che Salvatore Riina fosse venuto a conoscenza di un'intervista rilasciata da Paolo Borsellino il 21 maggio 1992 a due giornalisti francesi nella quale il Magistrato menzionava alcune delle "teste di ponte" della mafia al nord Italia citando il mafioso Vittorio Mangano.

Alla fine di Maggio del 1992, dopo la strage di Capaci, Cosa nostra era in condizione di sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti stranieri, nella quale faceva clamorose rivelazioni su possibili rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri (Marcello, ndr) e Berlusconi (Silvio, ndr), rapporti che avrebbero potuto nuocere fortemente sul piano dell’immagine, sul piano giudiziario e sul piano politico a quelle forze imprenditoriali e politiche alle quali fanno esplicito riferimento le dichiarazioni di Angelo Siino, sulle quali i capi di Cosa Nostra decisamente puntavano per ottenere quelle riforme amministrative e legislative che conducessero in ultima istanza ad un alleggerimento della pressione dello Stato sulla mafia e alla revisione della condanna nel maxiprocesso. Con quell’intervista Borsellino mostrava di conoscere determinate vicende; mostrava soprattutto di non avere alcuna ritrosia a parlare dei rapporti tra mafia e grande imprenditoria del nord, a considerare normale che le indagini dovessero volgere in quella direzione; non manifestava alcuna sudditanza psicologica ma anzi una chiara propensione ad agire con gli strumenti dell’investigazione penale senza rispetto per alcun santuario e senza timore del livello al quale potessero attingere le sue indagini, confermando la tesi degli intervistatori che la mafia era non solo crimine organizzato ma anche connessione e collegamenti con ambienti insospettabili dell’economia e della finanza. Riina aveva tutte le ragioni di essere preoccupato per quell’intervento che poteva rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire personalmente i rapporti con il gruppo milanese. È questo il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. Agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario (sentenza d'appello BORSELLINO BIS, capitolo quinto).

Questo primo fattore esterno che influì sulla dinamica delle decisioni di Cosa Nostra riguarda dunque i rapporti tra mafia e grande imprenditoria del nord e rimanda alla pista degli investimenti di Cosa Nostra al Nord Italia che Alfio Caruso considera la chiave di lettura principale per capire i moventi della strage di via D'Amelio.



Il secondo fattore esterno a Cosa Nostra che spiega l'anticipazione della strage di via D'Amelio fu la "trattativa" avviata nella seconda metà di giungo 1992 da Giuseppe De Donno, capitano del ROS dei Carabinieri, e proseguita insieme a Mario Mori, colonnello del ROS, con i vertici di Cosa Nostra attraverso l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.

Non disponiamo di riscontri al se come e quando Borsellino abbia saputo della trattativa che era stata avviata. Che la trattativa vi sia stata è stato confermato dal generale Mori e dal capitano De Donno. E che Riina legasse la strage eseguita e quelle pianificate dopo Capaci a questa trattativa ci è dichiarato a chiare lettere da Brusca…Come è agevole rilevare, le indicazioni offerte dai due ufficiali dei carabinieri non permettono di riscontrare la tesi di Brusca di un contributo diretto della “trattativa”, avviata subito dopo Capaci tra il capitano De Donno e Vito Ciancimino, all’accelerazione della strage di via D’Amelio. E’ certo, tuttavia, che fissato il contatto e stabilito che i carabinieri avevano avvicinato il Ciancimino subito dopo la strage di Capaci per prendere contatti con Cosa nostra (al di là di quanto ha detto il capitano De Donno, un uomo esperto come Ciancimino non poteva non comprendere e comunicare a chi di dovere che quei generici discorsi sulle cause della strage e sulle intenzioni e le motivazioni dei mafiosi ad altro non potevano preludere che ad una richiesta di dialogo), la comunicazione di Riina a Brusca (“si sono fatti sotto”) era assolutamente giustificata dal modo in cui quel contatto si era realizzato, rafforzandosi così la convinzione di Riina di poter portare lo Stato a trattare e a fare concessioni a suon di stragi, avendo dimostrato quel primo contatto ai mafiosi che dall’altra parte si brancolava nel buio e si era disponibili ad un “dialogo” o ad una “trattativa”, nella quale far rientrare quei famosi punti del “papello”, la cui esistenza non può essere negata per il solo fatto che la negano i due ufficiali. E’ assolutamente logico pensare che Ciancimino, quando chiese di sapere cosa avessero da offrire gli interlocutori e quando capì che non avevano da offrire in concreto alcunché, abbia capito che non era il caso di presentare le richieste di Cosa Nostra. Ovvero è ben possibile che l’ambasciatore di Riina, Cinà, abbia atteso, prima di autorizzare la presentazione delle richieste dell’organizzazione, di sapere quale fosse il grado di disponibilità ad accoglierle e il grado di rappresentatività dei carabinieri. In tutti i casi, questa vicenda rappresenta un fattore che ha interferito con i processi decisionali della strage. Al di là delle buone intenzioni dei carabinieri che vi hanno preso parte, chi decise la strage dovette porsi il problema del significato da attribuire a quella mossa di rappresentanti dello Stato; il significato che vi venne attribuito, nella complessa partita che si era avviata, fu che il gioco al rialzo poteva essere pagante (sentenza d'appello BORSELLINO BIS, capitolo quinto).

Al di là delle intenzioni dei suoi promotori, l'apertura da parte di appartenenti alle Istituzioni di un canale di comunicazione indirizzato a quegli interlocutori (i vertici di Cosa Nostra), in quel momento storico (subito dopo la strage di Capaci) e con quegli scopi (inizialmente l'immediata cessazione della strategia stragista ed in prospettiva la collaborazione di Vito Ciancimino con obiettivo la cattura dei grandi latitanti di Cosa Nostra) ebbe l'effetto di convincere i capi mafiosi che la strage era idonea a portare vantaggi all'organizzazione mafiosa.



Il terzo fattore esterno a Cosa Nostra che contribuì alla patologia nella tempistica della strage di via D'Amelio fu la candidatura di Paolo Borsellino a Procuratore Nazionale Antimafia da parte dell'allora ministro degli Interni Vincenzo Scotti, il quale lanciò pubblicamente la proposta il 28 maggio 1992 (senza aver prima chiesto il parere allo stesso Borsellino) determinando una pericolosissima sovraesposizione del Magistrato.
Borsellino scrisse privatamente a Scotti declinando in modo cortese ma fermo la proposta e lasciando al ministro la decisione se rendere pubblico il contenuto della missiva. L'on. Scotti ritenne di non dare pubblicità alla lettera e di conservarla riservata, limitandosi a darne comunicazione al Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro e al ministro della Giustizia Claudio Martelli.



Alla luce di queste conclusioni della sentenza BORSELLINO BIS, ritengo che sia difficile individuare un movente della strage di via D'Amelio prevalente sugli altri. Si tratta piuttosto di un quadro articolato nel quale più moventi concorrono tra loro rafforzandosi a vicenda.


Per illuminare fino in fondo lo scenario delle stragi del 1992-93 sarebbe forse più corretto parlare di "trattative" più che di un'unica "trattativa" fra i vertici di Cosa Nostra e pezzi dello Stato. Nella sentenza BORSELLINO BIS ed in quella sulla strage di via dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993 è stata infatti accertata l'esistenza di una "seconda trattativa" tra Cosa Nostra e lo Stato. Si tratta di una trattativa che ebbe luogo tra la primavera ed il mese di dicembre del 1992 e che vide protagonista Paolo Bellini, un criminale con trascorsi nella destra eversiva operante nella zona di Reggio Emilia e giá collaboratore del servizio segreto militare (SISMI) nei primi anni ottanta. Bellini fu al centro di una serie di contatti fra membri di Cosa Nostra e rappresentanti delle Istituzioni al fine di recuperare alcune opere d´arte trafugate dalla Pinacoteca di Modena. Questa "trattativa" oltre al Bellini coinvolse il mafioso di Altofonte Antonino Gioé ed il maresciallo dei carabinieri del nucleo tutela del patrimonio artistico Roberto Tempesta.
Infine bisogna ricordare che sono attualmente in corso indagini e dibattimenti su un quadro ancora più ampio inerente altre possibili trattative fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra che presumibilmente si sovrapposero alle "due trattative" del 1992 delle quali è già stata accertata l'esistenza o ne furono in parte l'evoluzione. Gli investigatori sono chiamati oggi a raccogliere il testimone delle risultanze dell'istruttoria nel processo BORSELLINO BIS:

Era doveroso riportare il contenuto di questa importante e inquietante testimonianza (del dr. Gioacchino Genchi, ndr), tenuto conto dell’impostazione di alcuni motivi d’appello e delle correlate richieste istruttorie. Attraverso essa abbiamo appreso che i vuoti di conoscenza che tuttora permangono nella ricostruzione dell’intera operazione che portò alla strage di via D’Amelio, possono essere imputati anche a carenze investigative non casuali. Addirittura questo limite sembra possa avere condizionato l’intera investigazione sui grandi delitti del 1992, come è spesso capitato per i grandi delitti del dopoguerra in Italia, quasi esista un limite insormontabile nella comprensione di questi fatti che nessun inquirente indipendente debba superare. Tutto ciò ripropone con attualità la necessità di riprendere nelle sedi opportune le indagini sulle questioni alle quali manca tuttora risposta" (sentenza d'appello BORSELLINO BIS, capitolo terzo).

Nel momento in cui sarà possibile colmare queste "carenze investigative non casuali" ed avvicinare il "limite insormontabile nella comprensione dei fatti" si potrà avere un quadro ancora più completo sui moventi della strage di via D'Amelio e sui nomi delle entità esterne a Cosa Nostra che con questa interagirono nella istigazione e preparazione del delitto. Compito della società civile è quello di affiancare e sostenere in tutti i modi possibili gli uomini e le donne delle Istituzioni che stanno dando del loro meglio per raggiungere questo difficile obiettivo.




LINK:

a) Sentenza d´appello BORSELLINO BIS emessa dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta presieduta dal dott. Francesco Caruso il 18 marzo 2002

b) Il primo capitolo del libro "Milano ordina: uccidete Borsellino", Alfio Caruso, Longanesi, 2010